1500 imprese del commercio, 819 negozi del dettaglio, 409 attività del turismo e 1310 aziende di servizi. Questi i numeri delle Partite Iva veronesi legate al commercio che nel 2012 sono state costrette a chiudere, il 67% sul totale di quelle che hanno chiuso, che ammontano sul territorio scaligero a 5985. Una situazione particolarmente difficile, che delinea senza alcun dubbio la forte crisi dei consumi che sta attanagliando tutta l’Italia: «Siamo di fronte ad una situazione nuova e assai drammatica, il cui impatto sociale sarà ben più grave nei prossimi anni». A dirlo è Fabrizio Tonini, direttore di Confesercenti Verona: «Qui non stiamo parlando di qualche bar o qualche attività che a causa di una cattiva gestione è costretta a chiudere. Tra queste imprese che non ci sono più ci sono decine e decine di imprenditori che storicamente hanno sempre avuto successo, sia a Verona che in provincia, persone preparate e affidabili. Il problema è quindi più ampio e di conseguenza anche di più difficile soluzione».

Se guardiamo alle piccole e medie imprese del commercio, cioè i negozi che tengono vivi i centri storici, i dati sono ancor più sconfortanti: 632 nel 2009, 678 nel 2010, 761 nel 2011 e 819 nel 2012. Una escalation di chiusure che non si verificava dai primi anni ’90, quando la svalutazione della Lira fece tremare la stabilità del Paese: «Se paragoniamo Verona ad altre città del Veneto notiamo come il settore della piccola impresa del commercio sia quella più in difficoltà sul nostro territorio, molto di più rispetto al comparto del turismo, dove, anche se sembra in controtendenza, i dati segnano 11 aziende in più nel confronto con il 2011. Attenzione però: si sono assottigliati di molto anche i ricavi ». Secondo l’Associazione di categoria la congiuntura economica e i provvedimenti in materia fiscale del Governo sono solo alcune delle cause contro cui puntare il dito, senza dimenticare l'avvento sempre più invasivo della grande distribuzione organizzata e della catene commerciali, le uniche in grado di sostenere, ad esempio, la liberalizzazione assoluta dei giorni e degli orari voluta da Mario Monti. A confermare questo è il dato sulle nuove aperture, che per il 37% sul totale del 2012 riguarda attività in franchising, una tipologia di commercio che rientra negli schemi del centro commerciale: «Anche le nostre vie Mazzini, Borsari, Cappello e Stella subiscono lo stesso effetto di omologazione che avviene nei centri commerciali – spiega Tonini – senza alcuna differenza, se non quella che essendo un ente pubblico il gestore dell’area, ci sono più possibilità di tutela di alcune tipologie di attività, ed in questo il Comune di Verona qualcosa sta facendo, come lo sviluppo del progetto CcnVerona, che ha lo scopo di coordinare e sviluppare manifestazioni che coinvolgano i commercianti, tuttavia la strada da percorrere è ancora molto lunga, soprattutto in previsione delle nuove tasse comunali che presumibilmente incideranno sulla piccola e media impresa e su alcune scelte successive a questo progetto, come l’insediamento dell’area Ex-Biasi e Ex-Cartiere, che sembrano contraddire proprio la scelta di tutelare il centro storico e sulle quali siamo profondamente contrari. Nei paesi della cintura cittadina, invece, la conseguenza è la trasformazione delle aree urbane in dormitori, sul modello parigino, che negli anni ha portato a concentrare le attività nel cuore della città e nei centri commerciali, creando in queste Banlieu numerosi problemi di ordine pubblico – conclude Tonini –. Il negozio con le sue attività, infatti, serve anche a mantenere sorvegliata e attiva un’area, dove gli acquirenti e l’afflusso di persone genera sicurezza. Verona certamente non è Parigi, ma anche nel nostro caso si tende a proseguire su questo pericoloso modello. Il nostro auspicio è che le amministrazioni comunali premino le imprese virtuose, limitando la grande distribuzione e favorendo la concertazione e la collaborazione tra le piccole attività».

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