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L'utilizzo in pubblico del decoder domestico, e della smart card, fa scattare la condanna per violazione delle norme sul diritto d'autore. Lo precisa la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 20876 del 30 maggio 2012.
Ad aprire il caso l'accusa, mossa nei confronti di un uomo, di aver utilizzato la smart card e il decoder – lecitamente detenuti per uso domestico – per diffondere, all'interno di un pubblico esercizio, una partita di calcio. Ma il pubblico ministero ha sostenuto che l'evento, trasmesso su un'emittente ad accesso condizionato, non poteva essere liberamente fruito dai clienti del bar e ha contestato all'uomo la violazione dei diritti d'autore. Il tribunale,
disattesa l'aspettativa del procuratore, ha emesso una sentenza di assoluzione, ma la Corte di secondo grado ha ribaltato la decisione, condannando l'imputato per violazione dell'articolo 171-ter, lettera e), della legge 633/41 sul diritto d'autore. Di qui, il ricorso per Cassazione: il titolare di una smart card che, autorizzato alla decodifica presso la sua abitazione, usi il sistema all'esterno della residenza, si limiterebbe, sostiene il ricorrente, a «utilizzare» il dispositivo, senza dar luogo alla «diffusione» punita dalla legge. Egli, pertanto, avrebbe, come si legge nella sentenza, «semplicemente compiuto una "ricezione/trasmissione" del servizio criptato, non consentita dal contratto di distribuzione ma non per questo anche penalmente rilevante».
La Cassazione, però, non concorda con la ricostruzione dell'imputato, confermandone la colpevolezza. Quanto asserito in ricorso, spiegano i giudici, presupporrebbe una distinzione tra l'attività di «utilizzazione» e quella di «diffusione», che la norma non prevede. La legge sul diritto d'autore, infatti, non detta una disciplina separata per le ipotesi di uso non consentito del dispositivo e di illegittima trasmissione del programma. Tanto è vero che l'articolo 171-ter, lettera e), della legge 633/41 non esige, ai fini integrativi del reato, la diffusione dell'evento «a una platea indeterminata di soggetti», punendo chi, in assenza di accordo con il legittimo distributore, «ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo» un servizio criptato, ricevuto grazie ad apparati di decodifica.
L'intento della legge, dunque – puntualizza la Corte – è quello di criminalizzare una serie di comportamenti, accomunati dalla «finalità di tutelare l'impresa erogatrice del servizio televisivo contro qualsiasi condotta abusiva». Il criterio distintivo rispetto al mero illecito civilistico (inizialmente ravvisato dal tribunale, che liberò il ricorrente dalle accuse) sarà, pertanto, rappresentato dal dolo specifico, legato all'uso non personale e alla finalità di lucro.
Ancora – conclude la Cassazione – va considerato che la legge sul diritto d'autore esige, per l'esecuzione pubblica di un'opera (cinematografica, musicale, di spettacolo), il consenso dell'autore e, per esso, della Siae. L'imputato, dunque, pur avendo «acquistato», per contratto, la visione dell'evento calcistico, avrebbe potuto diffonderlo in pubblico «solo se a tanto esplicitamente autorizzato». In caso contrario, l'uso non a scopo di lucro sarebbe dovuto restare limitato «nell'ambito della famiglia».